Neil Young – After the gold rush
di Luisa Raimondi
Il problema della produzione agricola e dello sfamare miliardi di persone al mondo pare un argomento sproporzionato rispetto al raccontare una piccola realtà produttiva agricola nella provincia di Biella.
Il legame, invece, è più che mai forte e vale la pena indagarlo perché, se la questione di cui sopra riguarda tutti noi, la ricerca di soluzioni può passare anche attraverso la nostra partecipazione e questa ci pare un’ottima notizia, in un’economia, quella attuale, in cui le lunghe braccia della globalizzazione spesso ci impediscono di scorgerne le mani.
Per il progetto che portiamo alla vostra attenzione, del resto, la definizione di “azienda agricola” scopriremo essere decisamente stretta.
La realtà di cui vi parliamo si trova ai piedi delle colline biellesi e si chiama “Il Chioso”, dal piemontese “Cios”, che significa orto-frutteto cinto da mura, rispecchiando la vocazione antica di questo luogo per la produzione ortofrutticola.


Nasce da una domanda sopra tutte: «Possiamo nutrire le comunità lasciando la Terra migliore di come l’abbiamo trovata?», cui si legano poi altri interrogativi pregnanti, come quello di riuscire a costruire agrosistemi che lavorino con e non contro la natura, o di creare un diverso rapporto tra uomo e agricoltura, producendo, dunque, “una nuova ruralità”.
In poche righe, una visione, perché non c’è altro modo di definire un progetto che si pone questioni così fondanti e, soprattutto, propone delle risposte.
“Nuovo” è la parola chiave, poiché così è il paradigma che costruisce.
L’obiettivo infatti è quello di superare l’attuale modello di sviluppo fondato sul primato della tecnologia sull’uomo e sulla natura, sulla produttività esasperata e sulla crescita infinita e di farlo non certo per spirito di contraddizione, né per seguire infondati trend di marketing o mode del momento. Quella che questa realtà affronta è una sfida epocale, che riguarda tutti: il cambiamento climatico, la crescita demografica, il picco del petrolio ci pongono questioni che sono ineludibili, per noi, per i nostri figli; per la nostra esistenza e, non solo, anche per il senso stesso di esistere, che pare perso, in un’epoca nichilista come la nostra e che è il vero punto di partenza per Federico Chierico.
Fondatore de “Il Chioso”, già impegnato in un’esperienza simile in Valle d’Aosta (Paysage à Manger), Chierico sceglie la via della progettualità ragionata, rifiutando sia lo smarrimento davanti ai problemi del nostro tempo, che l’indifferenza o il rifiuto e la negazione degli stessi.
Sceglie, soprattutto, di partire dal cibo.
Il cibo che ci unisce tutti come esseri umani; il cibo la cui produzione industriale si è rivelata distruttiva della biodiversità (che poi, per citare Stefano Mancuso, “biodiversità” sta per “vita”: fa un effetto diverso, vero?), dispendiosa sotto il profilo energetico e crudele, se pensiamo alla pratica degli allevamenti intensivi. Il cibo, che essendo il nostro mezzo di sussistenza, non può generare imprese regolate dalla sola e mera logica del profitto e dalla efficienza economica.
Sceglie di affrontare un progetto a lungo termine, perché ha i tempi della natura.
Sceglie di farlo con creatività, gioia, speranza, poesia. Badino, i cinici e i disincantati: non si tratta di un approccio sognante e senza nessuna concretezza, un roseo think-positive testardo e caramelloso, ignaro delle difficoltà e delle tante sfide.
La sua visione può definirsi “poetica” perché necessita di grande immaginazione ed ispirazione e fa proprio il concetto di Colin Tudge di “Enlightened Agriculture” (Agricoltura Illuminata), che prima di tutto parte da un presupposto: il cibo come bene comune, prima che merce.
È soprattutto la ricerca di senso (profondamente umana) per approdare a quello della comunità, che rende poetico questo progetto: il co-creare ed il pro-creare.
In un’epoca di forte individualismo, di grande polarizzazione, la ricerca del bene comune è la via per tornare a dare senso alla parola “democrazia”, che non può esaurirsi nel mero esercizio di voto (quando c’è), ma deve recuperare la dimensione collettiva che mette in comunicazione individuo e istituzioni.
Il messaggio finale è quindi destinato alla Politica, l’attività più nobile dell’essere umano insieme al Lavoro: dimostrare la replicabilità di un modello alternativo alla cultura dominante che non sa rispondere alle domande critiche per il futuro, è l’intento più pressante (e poetico) di questo progetto.
Portare questa esperienza all’attenzione dei piani alti, dove si definiscono e si orientano i fondi strutturali delle prossime Politiche Agricole Comunitarie, complice anche il mondo accademico, con cui Il Chioso ha stretto un forte legame, conscio che non possa bastare una singola realtà come la propria e neppure una rete organizzata di altre simili per intercettare gli interlocutori politici. Dimostrare per diffondere il paradigma.
Qual è dunque il modello che propone “Il Chioso”?
Questa realtà innanzitutto recupera il virtuoso sistema agricolo integrato del passato, stabile e duraturo: alberi-animali-piante erbacee, inseriti in un paesaggio proprio per questo armonico.
Il concetto fondamentale è proprio quello di imitare gli ecosistemi spontanei, la loro capacità di autoalimentarsi e di offrirci risorse: il contadino di oggi non sarà quindi un “imprenditore agricolo”, ma piuttosto un “agricoltore/silvicoltore/raccoglitore”, che sappia portare a vantaggio dell’uomo la complessità, ricercando l’efficienza biologica prima di quella economica.
La sua “nuova ruralità” affonda le proprie radici e si ispira alla permacultura, che sarebbe riduttivo e fuorviante definire semplicemente come un metodo agricolo naturale.
Essa infatti ri-concepisce proprio l’insediamento umano e ripensa all’uomo come parte integrante di un ecosistema in grado di generare sostentamento rilocalizzando le produzioni per distribuirne equamente i frutti, inserendolo in comunità fondate sull’eco-coltura e la rivitalizzazione del rapporto con il territorio.
Tutto questo si traduce, per Il Chioso, in un piano di sviluppo ambizioso e visionario che parte innanzitutto dall’orto bio-intensivo. Già attivo, al momento fornisce il mercato settimanale cui partecipano anche agricoltori e produttori del territorio, così come la rete di aderenti alla CSA, Comunità di Supporto all’Agricoltura: i soci sottoscrivono un abbonamento, versando dunque una quota anticipata all’azienda che si impegna a fornire ad ogni socio una cassetta settimanale di prodotti biologici stagionali. Un meccanismo che sposa in pieno la dimensione collettiva del progetto attraverso un reciproco virtuoso legame.
La potenza di questo progetto si manifesterà in pieno con il procedere dei passi pianificati per il futuro; il prossimo sarà quello della realizzazione di un frutteto-pascolo, nel pieno rispetto della visione integrata su cui si fonda il nuovo ruralismo in proposta.
Seguirà la componente più avanguardistica: la Food Forest (Foresta Giardino) che prevede la creazione di un bosco dove ogni specie, dalla chioma più alta allo strato erbaceo, costituisce una risorsa alimentare, officinale o tintoria.
Parte del terreno sarà dedicata anche al vivaio di fruttiferi e arbusti, cosa che aprirà ulteriormente la realtà a scambi in fiere e mercati specializzando, consentendo nuove opportunità di partecipazione e di differenziazione economica.
Non ultimo: il bosco. Noci e castagni, ai margini dei campi coltivati e dei vivai e un bosco naturale, cui Federico Chierico è particolarmente affezionato: «Se è vero che questi nuovi modelli agricoli saranno in grado di produrre molto cibo su superfici piccole a fronte di maggior progettazione, gestione e cura quotidiana e se è vero che la svolta antropologica a cui lavoriamo servirà anche ad evolvere le abitudini alimentari, allora sarà vero anche che non servirà più dedicare centinaia di ettari a monoculture intensive. Cosa fare dunque di tutta quella terra? Potremmo restituirla alla natura. Il bosco sarà santuario di biodiversità, luogo aperto di contemplazione e rigenerazione.».
Infine, nella logica del cibo come bene comune, l’idea è anche quella di aprire la Cascina del Chioso a feste, corsi di formazione di livello, ricettività: un luogo di vivace fermento per arte e cultura, condivise.
Lungi dal dichiarare di facile soluzione il nutrimento della popolazione mondiale, siamo dunque lieti di aver portato la vostra attenzione ai piccoli grandi sforzi di chi ci prova e riempie di significato pregnante il motto: “Non c’è alternativa senza partecipazione!” che lancia la recente campagna di crowdfunding avviata da questa micro-realtà.
Non lasciamoli soli.